Le storie che forse non conosci dei piatti più simbolici del del Giorno dei Morti
Nel Giorno dei Morti ci sono alcuni cibi simbolici che possiamo trovare in quasi tutte le tavole degli italiani: dalle fave dei morti alla zuppa cisrà, passando per i pupaccena.

Nel giorno dei Morti, che cade il 2 novembre di ogni anno, ci sono alcuni cibi simbolici che, per tradizione, è obbligatorio portare in tavola. Spesso sono alimenti che hanno anche storie particolari alle spalle, legati a tempi andati, a una spiritualità che oggi si è quasi persa del tutto.
I cibi più simbolici del giorno dei Morti
In tutta Italia, nei giorni di Ognissanti e dei Morti ci sono alcune pietanze tipiche, dai primi ai dolci, che è d’obbligo condividere con i propri commensali, vivi e non. Secondo la tradizione, infatti, in queste due occasioni, le tavole devono sempre avere un posto in più, riservato ai defunti. Dalla zuppa alla canavesana al risotto di castagne, passando per la carne salada e la bagna cauda: sono tanti i cibi simbolici che si mangiano l’1 e il 2 novembre, ma non tutti hanno una storia particolare da raccontare.
Sicuramente le zuppe a base di legumi hanno un posto d’onore, specialmente a base di ceci e fave. Il motivo è presto detto: si pensava che al loro interno giacessero le anime dei morti. Soprattutto le fave, in quanto la pianta ha radici così profonde che in molti credevano che potesse raggiungere l’Ade, creando una connessione tra il mondo dei vivi e quello dei defunti.
Ovviamente, le zuppe erano e continuano a essere molto gettonate anche per il periodo dell’anno e perché sono un cibo a buon mercato. Senza ombra di dubbio, tra queste preparazioni merita menzione la cisrà, una minestra di ceci e trippa a dir poco squisita. Tipica del Piemonte, si racconta che venne creata nel ‘600, per ristorare i fedeli che arrivavano nelle città per assistere alle funzioni religiose dell’1 e del 2 novembre.
Gustosa zuppa di ceci e trippa
Tra tradizione e leggenda
Una preparazione piuttosto gettonata in tutta Italia, seppur con variazioni regionali, è il pan dei morti. La paternità sembra essere della Lombardia, dove è nato come dolce di recupero. Si tratta, infatti, di un composto a base di biscotti secchi sbriciolati, mescolati con farina, zucchero, albumi, spezie, frutta secca e/o candita e lievito. Oggi esistono numerose varianti, alcune con vino bianco o passito e cacao. Rotondo, sottile e leggermente allungato, un tempo questo particolare pane veniva preparato proprio come dono ai morti.
Al contrario, la cotognata, dolce a base di mele cotogne, veniva cucinata per tenere la morte lontano dalla propria casa. Secondo la leggenda, erano gli stessi defunti a volerla, così da proteggere i propri cari dal Tristo Mietitore. Oggi, molto probabilmente, si porta in tavola solo come tradizione e non a mo’ di portafortuna.
In Sicilia sono d’obbligo i pupaccena o i pupi di zucchero, le ossa dei morti, i biscotti regina o strunziddi d’ancili (cacca di angioletto), i tetù, i taralli e la frutta martorana. Sono tutti dolci, alcuni a base di marzapane, molto saporiti, talvolta coperti di glassa e decorati in modo diverso.
Anche in Sardegna i dolci vanno per la maggiore. Qui l’1 e il 2 novembre è tradizione preparare i papassinos, biscotti arricchiti con uva sultanina. In Calabria, invece, abbiamo le dita degli apostoli, ossia dei cilindri di pan di spagna farciti di crema e glassati, e il grano dei morti. Quest’ultimo, che tra l’altro è diffuso in altre zone del Sud Italia, è a base di chicchi di grano lessati e conditi con melagrana, mosto, cioccolato, frutta secca e canditi.
Fave dei morti e ossa dei morti sono diffusi in tutto il Paese e hanno proprio lo scopo di rappresentare i defunti. Il significato delle fave, anche se in questo caso il legume non viene utilizzato, è sempre lo stesso.
Fragranti biscotti ossa dei morti

















