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Una tavola sobria che parla di fede e cultura: il senso della Vigilia di Magro

La Vigilia di magro è una tradizione dura a morire, che gli italiani continuano a rispettare anche se non è più una "legge" dal 1966.

Piatto di pasta vegetariano su tavolo di legno 123rf
Piatto di pasta vegetariano su tavolo di legno

La Vigilia di Natale, lo sanno anche i bambini, è di magro. Una tradizione che affonda le sue radici nel Medioevo, che forse è nata più per dare una speranza alla popolazione più povera che per motivi prettamente religiosi. A prescindere da ciò, questa usanza è arrivata fino ai nostri giorni, in parte immutata, anche se la Chiesa non impone proprio nulla.

Com’è nata e cos’è la Vigilia di magro

In tutta Italia, la Vigilia di Natale prevede un banchetto "di magro", il che significa che le portate non devono prevedere la carne, ma pesce e, al massimo, formaggi. Una tradizione nata nel Medioevo, che è arrivata fino ai nostri giorni più per una questione culturale che religiosa. Ma, procediamo con ordine.

Tra l’XI e il XII secolo, quando la popolazione era scossa da guerre, carestie e malattie, la Chiesa pensò bene di dare un po’ di sollievo alla gente descrivendo i digiuni come un atto di fede, una penitenza. In questo modo, passateci il termine, prese due piccioni con una fava: da un lato donò loro la speranza in un futuro migliore (aldilà compreso), dall’altra rese la povertà alimentare più sopportabile, mascherandola come una sorta di sacrificio in nome di Dio.

Pian piano, il digiuno iniziò a essere regolato da norme, una su tutte: non bisognava evitare solo la carne, ma anche i cibi grassi. Soltanto nel 1500, però, i giorni di magro sono diventati un’abitudine "comunitaria", tanto che occupavano quasi il 30% dell’anno. Quella mancanza naturale, data proprio dalla povertà delle materie prime, venne trasformata in una specie di "prova provata" della propria fede.

Tavola imbandita per la Vigilia di magro 123rf

Bellissima tavola imbandita per la Vigilia di magro

Da atto di fede a usanza popolare

Con lo scorrere del tempo, le regole si fecero via via più leggere fino al 1917, quando il Codex Iuris Canonici stabilì che l’astinenza della carne si doveva osservare solo nelle vigilie di alcune festività, come il Natale, Ognissanti, l’Assunta e Pentecoste. La situazione cambiò ancora una volta nel 1966, con la Costituzione Apostolica Paenitemini che ridusse i giorni di magro a due sole occasioni, il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo.

Questo significa che, a partire dal 1966, la Chiesa non impone più l’astinenza dalla carne nel giorno della Vigilia di Natale. Com’è possibile, quindi, che gli italiani, che non spiccano per fede profonda (solo il 19/24% della popolazione va a messa una volta a settimana), abbiano mantenuto in vigore una norma che non è più in uso?

Per tradizione, per attaccamento alle proprie radici, per una semplice consuetudine popolare che, come direbbero le nostre nonne, "pare brutto" non rispettare. Insomma, sempre citando quanti ci hanno preceduti, "alla Vigilia si mangia pesce e basta".

I piatti forte del 24 dicembre

Da Nord a Sud, passando per il centro: il 24 dicembre è dedicato al pesce. Al massimo, si può portare in tavola un po’ di formaggio, ma niente arrosti, spezzatini e via dicendo. La carne trionferà il giorno seguente, il 25 dicembre.

I grandi protagonisti della Vigilia sono soprattutto: salmone, tonno, capitone, baccalà, sarde, aringhe e frutti di mare. Dagli antipasti ai secondi, passando per i primi: il pesce domina ogni portata, perfino le pizze rustiche. L’unica eccezione sono i dolci, che restano i classici del Natale.

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