Deliziosi e amatissimi: gli arrosticini hanno una storia più interessante di quanto pensi
Gli arrosticini sono nati per caso, grazie all'ingegno di due pastori che avevano molta fame e pochi ingredienti a disposizione.

Per gli amanti della carne, Abruzzo fa rima con arrosticini. Morbidi, succosi e saporitissimi, vengono cotti rigorosamente alla brace, ma guai a chiamarli spiedini. Se questa prelibatezza è arrivata fino ai nostri giorni, il merito è di due pastori che, durante la transumanza, si ritrovarono ad avere molta fame ma pochissimi ingredienti a disposizione.
La storia degli arrosticini abruzzesi
Andare in Abruzzo e non mangiare gli arrosticini è un’eresia. A meno che non siate vegani o vegetariani, assaggiare i "rustell’, rustelle o arrustelle" è d’obbligo. La storia di questa prelibatezza inizia nel lontano 1830, quando due pastori del Voltigno, area che si estende tra le province di Pescara e L’Aquila, nel cuore del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, si ritrovarono costretti a inventare un pasto sostanzioso per sopperire alla fame.
I due pastori erano impegnati nella transumanza e avevano a disposizione pochissimi ingredienti. Così decisero di uccidere la pecora più anziana del gregge e ricavarne tutta la carne utile. Si concentrarono soprattutto sui tagli anteriori (pancia, spalla, collo, schiena e punta di petto), tagliandoli in piccoli cubetti per separarli al meglio dal tessuto connettivo.
Finita la macellazione, infilzarono la carne e il grasso sui rametti che crescono alla base del tronco d’ulivo, in dialetto abruzzese "cippe di scannill", e li cucinarono sulla brace di un falò all’aperto. Questa era l’unica cottura possibile, ma anche l’unico modo per rendere la ciccia più tenera. I due pastori rimasero piacevolmente sorpresi dal risultato: i bocconcini erano più saporiti di quanto avessero mai potuto immaginare.
Così, durante la lavanda e tosatura delle pecore quella primavera, decisero di far provare la loro ricetta agli altri pastori. Neanche a dirlo, la reazione dei colleghi fu altrettanto entusiastica e gli arrosticini divennero famosi in ogni angolo dell’Abruzzo.
Gustosi arrosticini di pecora abruzzesi
Come sono fatti gli arrosticini?
A contendersi la paternità dei "rustelle" sono soprattutto due province, Teramo e Pescara, ma tutti concordano nell’affermare che il merito di questa invenzione culinaria sia da attribuire ai pastori che abitavano la zona tra le valli e i monti del Gran Sasso, nello specifico l’area che si estende dalla Piana del Voltigno (Villa Celiera) al confine tra le province di L’Aquila, Teramo e Pescara.
Gli abruzzesi si trovano d’accordo anche sulla preparazione degli arrosticini, oggi considerati uno dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani PAT. La base è la carne ovina, pecora o castrato, di cui circa il 25% composto da grasso. I pezzetti di carne hanno forma cubica, con uno spessore di circa un centimetro per lato e lunghezza di 20/30 centimetri.
È bene sottolineare che oggi si trovano in commercio anche altre varianti dei classici "rustelle", con carne di tacchino, pollo, maiale e perfino di fegato. La grandezza è sempre la stessa, il grasso è presente e la cottura non cambia.
Come si cuociono?
Gli arrosticini devono essere rigorosamente cotti sulla brace di legna. Un tempo si usavano i falò all’aperto, mentre oggi esiste uno strumento apposito, che in base alla zona viene chiamato in modo diverso: fornacella, "furnacella", "rustillire", "canala" o "canalina". È una griglia lunga e stretta, costruita proprio per garantire la cottura uniforme della ciccia e mantenere freddo lo spiedino di legno.
Se lo si vuole (ma non fa parte della ricetta tradizionale) prima di essere poggiati sulla fornacella, i "rustelle" possono essere spennellati con un rametto di rosmarino intinto in un mix di olio, aceto e sale. Ciò può dare un tocco di golosità in più, ma potrebbe anche smorzare gli odori e cambiare il sapore, dunque tutto dipende da cosa si vuole ottenere. Qualunque sia l’opzione si mangiano caldi, con le mani, accompagnati da "pane ‘onde", ossia pane abbrustolito condito con olio extra vergine d’oliva e sale, e un bel bicchiere di vino rosso, magari un Montepulciano.

















