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Storia del pandoro

Dal "pan de oro" alle altre leggende veronesi, la storia del pandoro dalla sobria ricchezza che a Natale non conosce crisi e si riprende il suo posto accanto al panettone

La storia del pandoro

Sulla tavola di Natale a contendersi la scena con il panettone, non può mancare il pandoro. Adombrato negli ultimi anni dal cugino più barocco e gonfio di frutta secca, il pandoro è la scelta migliore per chi non ama canditi e uvetta. Sebbene pare sia meno antico del lievitato rivale di origini milanesi, il "pan de oro" nasce ufficialmente a Verona e la sua storia si intreccia inevitabilmente con quella della famiglia Melegatti. Il suo brevetto venne, infatti, depositato nel 1894 proprio da Domenico Melegatti, pasticciere e patron dell’omonima industria dolciaria. Una ricetta originale che prende spunto, in realtà, da un dolce che le massaie veronesi erano solite preparare proprio in occasione delle festività invernali. All’impasto base di farina, latte e lieviti, al signor Melegatti bastò aggiungere una generosa quantità di burro e aumentare la dose di uova per dare forma al tradizionale dolce a otto punte con quello stampo a stella disegnato su misura dal pittore Angelo Dall’Oca Bianca. Gli autori dei Taccuini Gastrosofici sostengono, invece, che sia l’evoluzione del Nadalin, altro lievitato inventato nel 1200 sempre nel capoluogo veneto che si dice sia il vero antenato del pandoro. Teorie diverse lo collocano ai tempi della Repubblica di Venezia come dolce a forma conica ma c’è anche chi lo collega alla brioche francese che per secoli è stata il dessert alla corte dei Dogi.

Come riconoscere un buon pandoro artigianale

Negli ultimi anni il mercato del pandoro artigianale ha riconquistato posizioni e secondo una ricerca BVA Doxa il 70% degli italiani, pur esprimendo una preferenza per uno due dolci, finisce per consumarli entrambi. Davanti al bivio, al netto del gusto personale, riconoscere un prodotto fatto a mano può rivelarsi insidioso. Nel caso del pandoro, la sua artigianalità si capisce subito dalla data di scadenza molto breve, sicuramente meno di due mesi. Ridotta, risulta anche la lista degli ingredienti che non menziona emulsionanti mentre maggiorato è il prezzo che fa lievitare il costo al chilo rispetto al pandoro da supermercato. Venendo all’assaggio, il pandoro fatto a mano si caratterizza per la sua dolcezza non troppo invadente, la struttura soffice senza essere eccessivamente alveolata, un distintivo profumo di burro e vaniglia, materie prime di altissima qualità e digeribilità assicurata. Niente paura se dovesse disgraziatamente avanzare: esistono diversi metodi per riciclarlo in cucina, come questa ricetta del tiramisù al pandoro. Provare per credere!

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