Santo Stefano nelle campagne italiane: quell'antico legame con il maiale
A Santo Stefano si uccide il maiale: un tempo era d'obbligo, ma ancora oggi ci sono realtà italiane in cui questa tradizione viene rispettata alla lettera.
Da tempo immemore, il giorno di Santo Stefano, ossia il 26 dicembre, è strettamente collegato alla macellazione del maiale. Una tradizione contadina che, in alcune zone d’Italia, viene ancora osservata alla lettera, seguendo un rituale che, per molti, è a dir poco raccapricciante.
- Santo Stefano e il maiale: che legame c'è?
- La macellazione del maiale, una tradizione macabra
- Cosa si mangia il 26 dicembre?
Santo Stefano e il maiale: che legame c’è?
Ci sono tradizioni antiche che, nonostante lo scorrere del tempo, continuano a resistere. Un bene, visto che molte usanze si stanno perdendo, ma nel caso di Santo Stefano e il maiale non crediamo che sia il caso di gioire. Riflessioni a parte, in questa sede vogliamo indagare il legame che c’è tra il religioso del 26 dicembre e la macellazione dei suini.
Anche se il santo collegato al maiale è Antonio Abate, che si festeggia il 17 gennaio di ogni anno, la macellazione di questo animale è tradizionalmente associata a Santo Stefano. Nelle realtà contadine, questa usanza è ancora viva e rappresenta un momento di festa a tutti gli effetti. Non c’è un motivo preciso per cui "il porco" viene ucciso in questo giorno, ma è assai probabile che ci siano due fattori alla base: il periodo festivo, per cui era ed è tuttora facile radunare familiari e amici, e le temperature fredde.
La macellazione del maiale, una tradizione macabra
Un tempo, Santo Stefano significava "mmasciate", "ammazzatura" o altri termini dialettali con cui si indica la macellazione del maiale. Un rito, una vera e propria festa a cui partecipavano familiari, amici e vicini di casa che poi venivano ricompensati con un bel pezzo di carne. Ognuno aveva un compito e niente veniva lasciato al caso, anche perché le carni dell’animale consentivano di avere di che mangiare per l’anno a venire.
Si iniziava il giorno prima, lasciando il maiale a digiuno e preparando tutto l’occorrente per l’uccisione. Poi, alle prime luci dell’alba si procedeva con il rito vero e proprio, ma preferiamo evitare i particolari. Vi diciamo solo che c’erano delle credenze popolari bizzarre, come l’esclusione delle donne con il ciclo mestruale dalle "mmasciate". Si credeva che questa loro condizione del tutto naturale potesse in qualche modo influire sulla carne, facendola andare a male.
Oggi, fortunatamente, ci sono regole precise per la macellazione in casa. Le norme possono variare in base al comune di residenza, ma una è valida in tutta Italia: bisogna rispettare il benessere animale. Questo significa che il suino non deve essere ucciso in modo brutale, ma soltanto dopo lo stordimento.
Però, si sa, viviamo in un Paese ricco di contraddizioni, dove il modo di dire "fatta la legge, trovato l’inganno" non è solo un proverbio. Ergo, in molte zone d’Italia l’uccisione del maiale avviene come un tempo, senza il rispetto di alcuna regola: basta fare un giro nelle campagne nostrane nel mese di dicembre per rendersene conto.
Cosa si mangia il 26 dicembre?
A Natale, così come a Santo Stefano, la carne è la regina della tavola. In ogni zona d’Italia ci sono tradizioni gastronomiche particolari, ma quasi ovunque il 26 dicembre si svolge all’insegna del recupero. Si mangiano per lo più i cibi avanzati, ai quali si possono aggiungere tipicità di quel giorno.
In Campania, ad esempio, è tradizione preparare la minestra maritata, una zuppa a base di scarola, verza, cicoria, borraggine e catalogna, arricchita con carne di maiale. Nel Lazio, invece, non manca mai la stracciatella, una minestra assai particolare, con uovo sbattuto con parmigiano, sale e noce moscata.
In Puglia, oltre alla minestra verde, si preparano gli involtini di melanzane e mortadella o salame alla salentina, mentre in Emilia Romagna i tortelli di zucca con burro e salvia e nelle Marche i tortellini in brodo.