Perché Pippo Baudo non ha mai (davvero mai) voluto fare un programma di cucina?
Il legame di Pippo Baudo con il cibo? Era autentico ma lontano dagli show televisivi. E la sua idea resta un insegnamento ancora attuale
È venuto a mancare uno dei più grandi protagonisti della televisione italiana, Pippo Baudo: con la sua voce, il suo stile e la sua presenza scenica ha segnato intere generazioni, accompagnando il pubblico in decenni di spettacoli, varietà e momenti che sono entrati nella memoria collettiva.
Baudo però non era soltanto un conduttore, era anche un uomo con un’idea precisa di ciò che valeva la pena portare in televisione e di ciò che invece non avrebbe mai voluto fare. Tra le cose che rifiutava senza esitazione c’erano i programmi di cucina. Le ragioni per questo "astio" erano più di quante si possa pensare, ma attenzione: non c’entra nulla quello che era il suo rapporto con il cibo.
- Il punto di vista sulla cucina in tv
- Meno show, più sapori a tavola
- Ma aveva ragione sui cooking show?
Il punto di vista sulla cucina in tv
Quando Pippo Baudo parlava dei programmi di cucina non lo faceva tanto per prendersela con i fornelli in diretta o con le ricette raccontate davanti alle telecamere, quanto per indicare un problema più ampio della televisione contemporanea: la mancanza di idee nuove.
In un’intervista al Corriere della Sera del 2019, spiegava con la sua abituale schiettezza che «dieci stagioni per un programma sono troppe», e portava proprio gli show culinari come esempio di un filone diventato infinito, replicato senza rinnovarsi davvero.
Per lui la televisione non poteva accontentarsi di insistere sugli stessi format, fosse un talent, un talk show o un programma di ricette: serviva fantasia, capacità di sorprendere e di cambiare linguaggio.
La cucina, in quel contesto, rappresentava il simbolo più evidente di una tv che si adagiava sulla moda del momento, trasformando in routine ciò che invece apparteneva alla vita reale, al piacere autentico della tavola. Non era il cibo ad annoiarlo, ma la sua spettacolarizzazione a oltranza, ridotta a palinsesto e a stagioni seriali che, a suo giudizio, svuotavano la televisione di creatività.
Meno show, più sapori a tavola
Per Baudo il vero piacere della cucina non stava nel trasformarla in spettacolo, ma nel viverla come esperienza quotidiana, intima e autentica. Nonostante non amasse i cooking show, la sua carriera lo ha visto legato a lungo al mondo del cibo e delle bevande: dagli spot della Crema Bel Paese alla Simmenthal, dalla Motta al Kimbo, fino alle acque minerali e ai prodotti della grande distribuzione.
La sua immagine, rassicurante e familiare, è stata usata per decenni come garanzia di qualità: era lui a entrare nelle case degli italiani con la promessa che quel prodotto fosse degno di stare sulle loro tavole. Non si trattava di cucinare davanti alle telecamere, ma di dare fiducia, di creare un ponte tra i brand e la vita domestica.
A tavola, lontano dalle telecamere, Baudo amava i sapori veri, quelli che non hanno bisogno di spettacolarizzazione. Non a caso, sempre nel 2019, in occasione del suo 83esimo compleanno, la Rai lo fece festeggiare con un’enorme cassata siciliana, simbolo delle sue origini.
Più che inseguire la moda dei piatti gourmet o delle preparazioni scenografiche, era legato alla tradizione e al gusto come momento di convivialità. Nei ricordi e nei racconti, emerge il profilo di un uomo che preferiva assaporare piatti semplici e genuini piuttosto che parlare di cibo per ore in televisione.
Non era un giudice, non era un critico gastronomico, ma un commensale che viveva la tavola come spazio di incontro e di piacere. In fondo, per lui la cucina non aveva bisogno di show: bastava che rimanesse ciò che è sempre stata, un luogo di sapori e relazioni.
Ma aveva ragione sui cooking show?
Riletta oggi, la posizione di Pippo Baudo appare quasi profetica. Se da una parte negli anni successivi alle sue dichiarazioni i programmi di cucina hanno continuato a crescere, moltiplicandosi su più canali e piattaforme (MasterChef, Bake Off, e molti altri) e i talk dedicati al cibo hanno conquistato una parte importante dei palinsesti, quella ripetitività che Baudo aveva denunciato è diventata evidente anche agli occhi del pubblico.
Infatti, alcuni format hanno iniziato a soffrire un calo di ascolti e a dover cercare nuovi equilibri per non stancare. Certo, va riconosciuto che i cooking show hanno avuto anche un impatto positivo: hanno riportato l’attenzione sulla cultura gastronomica, hanno reso celebri chef che prima erano figure quasi invisibili e hanno contribuito a rinnovare l’orgoglio per la tradizione culinaria italiana.
Ma la domanda posta implicitamente da Baudo resta attuale: quanta parte di questa attenzione è davvero legata al piacere del cibo e quanta, invece, al meccanismo dello spettacolo che lo trasforma in competizione, giudizio e serialità? Forse il senso delle sue parole era proprio questo: ricordare che la cucina non ha bisogno di troppi riflettori per essere importante, perché la sua forza non sta nella televisione, ma nell’esperienza reale della tavola.